giovedì 29 gennaio 2015

PUBBLICO IMPIEGO: la disciplina degli incarichi "esterni"di Procuratori ed Avvocati dello Stato (T.A.R. Lazio, Roma, Sez III-ter, sentenza 27 gennaio 2015, n. 1467).


PUBBLICO IMPIEGO: 
la disciplina degli incarichi "esterni"
di Procuratori ed Avvocati dello Stato
 (T.A.R. Lazio, Roma, Sez III-ter, 
sentenza 27 gennaio 2015, n. 1467)



Massima

1. E' costituzionalmente legittimo l’art. 8 della L. n.114/2014, norma che impone il fuori ruolo agli avvocati dello stato che intendano svolgere incarichi di componente degli Organismi Indipendenti di valutazione (O.I.V.).
2. Con riguardo alla facoltà di assumere incarichi al di fuori dei compiti di istituto, difatti, gli avvocati dello stato svolgono una funzione che rende non comparabili i limiti ad essi imposti rispetto a quelli degli avvocati del libero foro.
A fronte di uno status giuridico ed economico che costituisce riconoscimento delle funzioni istituzionali che svolgono, per essi, come del pari per i magistrati, la disciplina degli incarichi deve tenere conto delle possibili incompatibilità, del prestigio dell’istituto, dell’efficienza e buon andamento degli uffici giudiziari.
3. A tali criteri sono, infatti, ispirate le disposizioni del d.P.R. n. 584/1993, recante il regolamento degli incarichi consentiti o vietati agli avvocati e procuratori dello Stato, ai sensi dell’art. 58 del D.Lgs n. 29/1993, ove distingue tra incarichi vietati e incarichi consentiti.
La disciplina contenuta nel suddetto d.P.R. prevede, altresì, ai fini del conferimento o dell’autorizzazione, una valutazione della “natura e del tipo di incarico, del suo fondamento normativo, della compatibilità con l’attività di istituto, anche sotto il profilo della durata e dell’impegno richiesto”.
4. Si tratta di previsioni che, ove limitano la libertà dell’interessato di accrescere o valorizzare la sua professionalità, trovano ampia giustificazione nell’esigenza di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.
Per gli Avvocati dello Stato, come per i magistrati, persino la possibilità di svolgere incarichi non retribuiti non esclude la potestà autorizzatoria dell’organo di autogoverno ai fini della verifica in concreto delle ragioni connesse al prestigio della magistratura e alla funzionalità dell'ufficio giudiziario (Cass. Sezioni Unite Sent. n. 24669 del 28-11-2007 che rigetta, Cons. Sup. Mag. Roma, 27 Luglio 2006).


Sentenza per esteso 

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11239 del 2014, proposto da P.D.P., rappresentato e difeso dagli avv. Angelo Clarizia, Fabrizio Doddi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Angelo Clarizia in Roma, Via Principessa Clotilde, 2; 
contro
Enac - Ente Nazionale Aviazione Civile, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12; 
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
del provvedimento ENAC prot. 91850/DG del 02.09.14 avente ad oggetto: “art. 8 l. n. 114/2014 - incarichi negli uffici di diretta collaborazione - decadenza dell'incarico di presidente dell'Organismo Indipendente di Valutazione dell'ENAC;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Enac - Ente Nazionale Aviazione Civile;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 dicembre 2014 la dott.ssa Anna Maria Verlengia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con ricorso, notificato all’ENAC il 4 settembre 2014 e depositato in pari data, l’Avvocato dello Stato P.D.P. impugna il provvedimento, meglio descritto in epigrafe, con il quale il Direttore Generale dell’Enac dichiara il ricorrente decaduto dall’incarico di Presidente dell’Organismo indipendente di valutazione per effetto dell’intervenuta modifica dell’art. 1, comma 66 della legge 190/2012 ad opera dell’art. 8 della legge 114/2014 di conversione del d.l. 90/2014.
Avverso la suddetta decisione dell’Enac parte ricorrente articola i seguenti motivi di gravame:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 14 del dlgs 150/2009, incompetenza, violazione del principio del contrarius actus, per non essere stata seguita la medesima procedura prevista per la nomina dall’art. 14 sopra citato. Né poteva il Direttore Generale dell’ENAC, secondo parte ricorrente, adottare il provvedimento impugnato il Direttore Generale, in quanto privo di poteri di indirizzo politico-amministrativo ovvero incompetente. L’atto, inoltre, sarebbe privo di motivazione e non sarebbe stato preceduto dal parere della Commissione, come prescritto dalla delibera n. 12/2013 dell’A.N.A.C. per il procedimento di revoca dell’incarico di componente degli Organismi Indipendenti di Valutazione;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del dl 90 del 24/6/2014, convertito, con modificazioni dalla legge 11 agosto 241, eccesso di potere per difetto dei presupposti, vizio del procedimento, sviamento, ingiustizia manifesta, atteso che l’art. 8 del d.l. 90 del 2014 prevedeva la cessazione di diritto degli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione ove nei trenta giorni successivi non fosse stato adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo, mentre il provvedimento gravato è stato adottato prima che decorresse tale termine, privando il ricorrente della facoltà di scelta conferita dal legislatore.
Con un terzo motivo parte ricorrente propone la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 del dl 90/2014 per violazione degli artt. 3, 35 e 98 della Costituzione, laddove la norma censurata pregiudicherebbe la possibilità di esercizio di attività consentite ad alcune qualificate categorie professionali (magistrati, avvocati e procuratori dello Stato). Si tratterebbe, nel caso di specie, di attività definita saltuaria dalla stessa Avvocatura Erariale, con ciò evidenziandosi l’irrazionalità della previsione. La nomina a membro di OIV, non rientrando tra le limitazioni in materia di diritti politici previste dall’art. 98 della Costituzione, non apparirebbe giustificata neanche sotto tale profilo e determinerebbe una ingiustificata discriminazione nei confronti degli avvocati del libero foro.
Parte ricorrente conclude chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato previa concessione di misure cautelari anche inaudita altera parte.
L’Enac si è costituita con il patrocino dell’Avvocatura di Stato per chiedere il rigetto del ricorso.
Con decreto monocratico n. 4085 del 4 settembre 2014 è stata concessa la sospensione del provvedimento impugnato, confermata dal Collegio con ordinanza n. 4769 del 25 settembre 2014.
Alla udienza pubblica del 4 dicembre 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO
Il ricorso è solo in parte fondato, nei limiti e nei termini di seguito esposti.
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 del dlgs 150/2009, l’incompetenza del Direttore Generale a revocare l’incarico e la violazione del principio del contrarius actus, per non essere stata seguita la medesima procedura prevista per la nomina dall’art. 14 sopra citato.
Il motivo è infondato.
La nota impugnata, a firma del Direttore Generale, non è una revoca, né altro provvedimento in autotutela.
Si tratta, infatti, come è reso evidente dal tenore dello stesso, di una comunicazione al ricorrente e, per conoscenza, al Presidente dell’ENAC ed all’Organismo di Valutazione, degli effetti dell’intervenuta disposizione di legge, di cui all’art. 8 della legge 190/2012 e della conseguente declaratoria di cessazione dall’incarico di Presidente del ricorrente.
Un atto vincolato, ove non una mera presa d’atto, a differenza della revoca disposta ai sensi dell’art. 10, comma 3, della delibera n. 12/2013 dell’ANAC, citata da parte ricorrente, in ordine alla quale l’organo di gestione dell’ente appare senz’altro competente, non richiedendo lo stesso spendita di alcuna discrezionalità.
E’ invece fondato il secondo motivo di ricorso laddove viene in considerazione la intempestività della gravata declaratoria di decadenza.
L’art. 8, comma 2, del d.l. 90/2014, come modificato dalla legge di conversione 114/2014, prevede, infatti, che “Gli incarichi di cui all'articolo 1, comma 66, della legge n. 190 del 2012, come modificato dal comma 1, in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, cessano di diritto se nei trenta giorni successivi non è adottato il provvedimento di collocamento in posizione di fuori ruolo”.
Alla data di entrata in vigore della legge di conversione recante la data dell’11 agosto 2014 il ricorrente era stato già nominato con la deliberazione n. 17 del 9 aprile 2014.
Ne consegue che al momento in cui veniva comunicata la decadenza dall’incarico (la nota è datata 2 settembre 2014) l’incarico era in corso e non era ancora decorso il termine di trenta giorni, fissato dal legislatore per consentire il collocamento in posizione di fuori ruolo dell’interessato.
La cessazione di diritto si sarebbe verificata solo nei trenta giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione, il 10 settembre 2014, ove nel frattempo il ricorrente non fosse stato collocato in fuori ruolo.
Il provvedimento è, pertanto, illegittimo sotto tale esclusivo profilo.
Con il terzo ed ultimo motivo parte ricorrente propone questione di illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge 114/2014, per violazione degli artt. 3, 35 e 98 della Costituzione, laddove la norma impone il fuori ruolo agli avvocati dello stato che intendano svolgere incarichi di componente degli Organismi Indipendenti di valutazione.
La questione è manifestamente infondata.
Con riguardo alla facoltà di assumere incarichi al di fuori dei compiti di istituto gli avvocati dello stato svolgono una funzione che rende non comparabili i limiti ad essi imposti rispetto a quelli degli avvocati del libero foro.
A fronte di uno status giuridico ed economico che costituisce riconoscimento delle funzioni istituzionali che svolgono, per essi, come del pari per i magistrati, la disciplina degli incarichi deve tenere conto delle possibili incompatibilità, del prestigio dell’istituto, dell’efficienza e buon andamento degli uffici giudiziari.
A tali criteri sono, infatti, ispirate le disposizioni del dpr 584/1993, recante il regolamento degli incarichi consentiti o vietati agli avvocati e procuratori dello Stato, ai sensi dell’art. 58 del decreto legislativo 29/1993, ove distingue tra incarichi vietati e incarichi consentiti.
La disciplina contenuta nel suddetto dpr prevede, altresì, ai fini del conferimento o dell’autorizzazione, una valutazione della “natura e del tipo di incarico, del suo fondamento normativo, della compatibilità con l’attività di istituto, anche sotto il profilo della durata e dell’impegno richiesto”.
Si tratta di previsioni che, ove limitano la libertà dell’interessato di accrescere o valorizzare la sua professionalità, trovano ampia giustificazione nell’esigenza di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.
Per gli Avvocati dello Stato, come per i magistrati, persino la possibilità di svolgere incarichi non retribuiti non esclude la potestà autorizzatoria dell’organo di autogoverno ai fini della verifica in concreto delle ragioni connesse al prestigio della magistratura e alla funzionalità dell'ufficio giudiziario (Cass. Sezioni Unite Sent. n. 24669 del 28-11-2007 che rigetta, Cons. Sup. Mag. Roma, 27 Luglio 2006).
E che l’incarico in questione ponga anche questioni di compatibilità è confermato da quanto si legge al punto 3.5 della Delibera 12/2013 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, laddove si precisa che, “in analogia con le previsioni della legge n. 190/2012 e tenendo conto dello spirito che le anima, la Commissione, in sede di formulazione dei criteri cui ispirerà le proprie decisioni, precisa che non esprimerà parere favorevole nei confronti di coloro che:
(…)
f) siano magistrati o avvocati dello stato che svolgono le funzioni nello stesso ambito territoriale regionale o distrettuale in cui opera l’amministrazione presso cui deve essere costituito l’OIV;
g) abbiano svolto non episodicamente attività professionale in favore o contro l’amministrazione”.
Ne consegue che l’avere esteso, con le modifiche apportate in sede di conversione, la necessità del collocamento in fuori ruolo anche ai componenti degli OIV non sembra irragionevole.
Si tratta di organismi la cui indipendenza è posta a salvaguardia delle sue finalità per le quali basterebbe leggere l’elenco delle ipotesi di conflitto di interesse individuate dalla Commissione Indipendente per la Valutazione, come anche l’esclusività del rapporto di cui al punto 9 della citata delibera, nonché le situazioni di incompatibilità indicate nel decreto legislativo istitutivo dell’OIV (v. in particolare art. 14, comma 8), per fugare ogni dubbio sulla coerenza della modifica introdotta dal Parlamento.
La norma impugnata, lungi dal vietare all’Avvocato dello Stato di assumere tale incarico, ne impone solo il fuori ruolo.
Si tratta di un mandato di durata triennale che, alla luce dei compiti dell’OIV, elencati ai commi 4 e segg. dell’art. 14 del decreto legislativo 150/2009, istitutivo di tali organismi, appare difficilmente configurabile come saltuario.
Ai sensi delle citate disposizioni l'Organismo indipendente di valutazione della performance deve:
- monitorare il funzionamento complessivo del sistema della valutazione, della trasparenza e integrità dei controlli interni ed elaborare una relazione annuale sullo stato dello stesso;
- comunicare tempestivamente le criticità riscontrate ai competenti organi interni di governo ed amministrazione, nonché alla Corte dei conti, all'Ispettorato per la funzione pubblica e alla Commissione di cui all'articolo 13;
- validare la Relazione sulla performance di cui all'articolo 10 ed assicurare la visibilità attraverso la pubblicazione sul sito istituzionale dell'amministrazione;
- garantire la correttezza dei processi di misurazione e valutazione, nonché dell'utilizzo dei premi di cui al Titolo III, secondo quanto previsto dal presente decreto, dai contratti collettivi nazionali, dai contratti integrativi, dai regolamenti interni all'amministrazione, nel rispetto del principio di valorizzazione del merito e della professionalità;
- proporre, sulla base del sistema di cui all'articolo 7, all'organo di indirizzo politico-amministrativo, la valutazione annuale dei dirigenti di vertice e l'attribuzione ad essi dei premi di cui al Titolo III;
- è responsabile della corretta applicazione delle linee guida, delle metodologie e degli strumenti predisposti dalla Commissione di cui all'articolo 13;
- promuovere e attestare l'assolvimento degli obblighi relativi alla trasparenza e all'integrità di cui al presente Titolo;
- verificare i risultati e le buone pratiche di promozione delle pari opportunità”
L'Organismo indipendente di valutazione della performance, inoltre, “sulla base di appositi modelli forniti dalla Commissione di cui all'articolo 13, cura annualmente la realizzazione di indagini sul personale dipendente volte a rilevare il livello di benessere organizzativo e il grado di condivisione del sistema di valutazione nonché la rilevazione della valutazione del proprio superiore gerarchico da parte del personale, e ne riferisce alla predetta Commissione” (comma 5, art. 14 dlgs 150/2009).
Le pronunce della Corte Costituzionale, citate nel ricorso a sostegno delle argomentazioni di parte ricorrente, oltre a riguardare posizioni non comparabili con quella degli avvocati dello stato o dei magistrati, presentano profili di totale diversità dalla questione sub judice.
La sentenza n. 78/2013 riguardava il divieto di conferimento di incarichi di insegnamento per il solo personale tecnico amministrativo, nell’ambito delle diverse categorie di dipendenti delle università, mentre nel caso che ci occupa, non solo non vi è un divieto assoluto allo svolgimento di tali incarichi, ma la disciplina restrittiva è estesa a categorie omogenee (magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari avvocati e procuratori dello stato) ma trova la sua giustificazione nell’esigenza di imparzialità e buon andamento di istituzioni di particolare rilievo nelle quali la garanzia di trasparenza, imparzialità ed efficienza, al cui fine sono adottate sia le previsioni di cui alla legge 150/2009 che le previsioni della legge 190/2012 e del dl 90/2014, ne pervade tutta la disciplina.
Ancora diverso il caso risolto dalla sentenza n. 321/2011 laddove il Giudice delle Leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni di una legge regionale nella parte in cui escludevano la possibilità per gli psicologi di ricoprire incarichi apicali nei Se.r.t. in contrasto con la normativa statale.
E’, conclusivamente, opinione del Collegio che la norma censurata non ponga problemi di irragionevolezza, per quanto sopra osservato, né contenga un divieto assoluto di svolgimento di determinati incarichi.
Per tale ultima ragione essa non si pone in contrasto neanche con gli artt. 35 e 98 della Costituzione.
Dubbi di legittimità non sorgono nemmeno analizzando i profili evidenziati dal ricorrente nella memoria del 17 settembre 2014.
In tale atto la difesa del ricorrente insiste sulla pretesa non omogeneità della disposizione inserita in sede di conversione con la ratio e le finalità del decreto originario.
A tale riguardo va innanzitutto precisato che in sede di conversione non è stata inserita una ulteriore autonoma norma, essendosi l’emendamento limitato ad estendere ai componenti degli OIV la necessità del fuori ruolo già prevista per altri incarichi, che, come questo, pongono problemi di conflitto di interessi e/o di compatibilità dell’impegno lavorativo da essi derivante.
Per quanto già osservato, tali analogie non sono revocabili in dubbio e si tratta, altresì, degli stessi criteri che il legislatore nazionale, con le previsioni di cui all’art. 1, comma 67, della legge 190/2012, ha fissato per guidare l’azione del Governo nella delega ivi contenuta.
La legge 190/2012 aveva già individuato nelle disposizioni in materia di disciplina degli incarichi di determinate categorie di pubblici dipendenti, in una ottica di maggiore efficienza, uno dei settori di intervento per la prevenzione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione e l’emendamento inserito in sede di conversione del decreto legge 90/2014 si pone nello stesso solco preordinato dall’atto normativo del parlamento del 2012, con ciò escludendo la dedotta incoerenza ed estraneità dell’emendamento sub judice.
In tale senso deve leggersi il già citato comma 67 dell’art. 1 della legge 190/2012, non modificato dal d.l. 90 e dalla legge di conversione 114/2014, ove prevede la delega al Governo ad adottare un decreto legislativo per l’individuazione di ulteriori incarichi che, in aggiunta a quelli di cui al comma 66, comportano l’obbligatorio collocamento in posizione di fuori ruolo.
Il Parlamento, con l’emendamento qui censurato, ha fatto quello che aveva delegato il Governo a fare già nel 2012. La delega, anche in base a quanto si legge nella documentazione degli atti parlamentari era rimasta inattuata (v. scheda di lettura n. 196/1 del 30 giugno 2014 della Camera dei Deputati sul D.L. 90/2014 – A.C. 2486).
Da quanto sopra osservato si può inferire la perfetta coerenza e ponderazione di cui è frutto la modifica del d.l. in oggetto.
Una modifica, quale quella in discorso, non necessitava di un dibattito particolarmente approfondito, trattandosi di una mera estensione della previsione di cui all’art. 1 comma 66 della legge 190/2012 ad incarichi in organismi connotati da indipendenza, a garanzia della efficienza ed imparzialità del controllo che sono deputati a svolgere sulle amministrazioni vigilate.
Il terzo motivo di gravame va, quindi, respinto poiché infondato.
Alla luce di quanto sopra esposto il provvedimento impugnato va annullato perché adottato prima che fossero scaduti i termini concessi all’interessato per proporre domanda di fuori ruolo, facendo salvi i successivi provvedimenti dell’amministrazione.
Le spese di giudizio possono essere compensate alla luce dell’accoglimento parziale e della assoluta novità della questione trattata.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei termini e nei limiti di cui in motivazione, e per il resto lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 4 dicembre 2014 e 9 gennaio 2015, con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Daniele, Presidente
Maria Grazia Vivarelli, Consigliere
Anna Maria Verlengia, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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